A cura di Aberto Vitale su Methalhead.it : (...)Nel titolo di questo album d’esordio dei The Steel Bones, c’è un messaggio lampante e affatto banale. Si, è il primo album ma forse non è il primo passo, quello i marchigiani forse lo avevano probabilmente già compiuto Carlo Lantieri e Ivan Battistella, quando nel 2020 hanno sentito l’esigenza di provare a cimentarsi con del materiale proprio. Scrivere canzoni e non fare cover o parodiare qualcuno (...)

A cura di Jacopo Meille su Rocknation.it: (...) “Empty Heads” e “West End Highway” sorprendono per sound e per quel essere in grado di mostrare una maturità compositiva che è sempre più raro ascoltare di questi tempi. Sono canzoni come queste che mostrano come anche un genere che è fatto anche di cliché può sempre regalare emozioni vere... La ruvidezza di “Good To Be Alive” e la dolcezza di “Scars Remains” con lo spettro dei “corvi neri” che aleggia serenamente sul quartetto alzano ancor di più il valore di un disco che se fosse uscito per una major e con un sostegno promozionale importante – non me ne voglia la coraggiosissima Red Cat Music – potrebbe aspirare a ben più meritati responsi e glorie (...)

A cura di Stefano Bonelli su TEMPIDURI.eu: (...) provate a dare un ascolto a questo disco, “che lo merita tutto per altro” e lasciatevi trasportare nella highway desertica (...) se lo fate ascolterete per prima cosa grilli e percussioni ma poi una grande esplosione di rock, quell’ heavy rock di vecchio stampo di cui avevamo perso le tracce, poi il timbro fantastico della voce di Ivan Battistella compie il resto della magia (...) Dopo Empty Heads ci arriva un staffilata acustica pazzesca atmosfera d’altri tempi West Highway (...) Altra ballad meravigliosa “Scars Remain” chi può dire di non averle le ferite quelle che ti friggono il cervello per quanto fanno male e per quanto si cerchi di dimenticare rimangono chiuse in fondo al cuore e si è cosi che si vive. Rock company chiude quasi il disco questo è un pezzo che potrebbe aver scritto Ted Nugent avete presente Cat Scratch Fever? In chiusura arriva un’altra emozionante canzone che ha che fare con i Rolling Stones di Sympathy for the Devil ma non ne è la cover bensi una citazione che evidentemente giaceva a livello ispirativo ed è uscito fuori come chiusura come in una sorta di parto (...)

A cura di Luigi Cattaneo su Progressivamenteblog.blogspot.it: (...) Si dipanano nei 35 minuti del lavoro brani come la vivace Better, la sognante Scars remain, la magistrale Good to be alive e la variopinta Hunter of tears, episodi cardine di un esordio palpitante e carico di umori southern (...)

A cura di Wolverine su Metalwave.it: (...) Indubbiamente quanto emerge dal platter dà sin da subito l’impressione di trovarsi di fronte a musicisti tutt’altro che alle prime armi ma di elementi che hanno alle spalle le proprie esperienze professionali e personali come artisti. Le otto tracce, che si condensano in meno di cinquanta minuti di ascolto, richiamano facilmente all’attenzione dell’ascoltatore realtà quali Black Crowes, Lynyrd Skynyrd ed altri tanto per rendersi conto della portata del lavoro le cui doti sono fonte di ispirazione e vengono riprese e personalizzate nella maniera migliore dalla band. Le migliori tracce ricadono in “West e Hightway” per il piacevolissimo riff d’apertura ma ancora la dinamica e diretta “Better”, notevole riffettone hard rock con tanto di slide per “Good To Be Alive”, brano che si incentra in un’ottima soluzione compositiva sia ritmica che per variazioni e immancabile divertimento; come non menzionare poi “Rockompany”, brano a base rock graffiante e travolgente, vera forza del platter (...) Disco di debutto ben realizzato per questa band, divertente, personalizzato e pronto a fare spettacolo (...).

A cura di Gianni della Cioppa su Musicalnews.it: (...) A tutti gli amanti del southern rock: questo è il disco che fa per voi. Ed è tutta roba made in Italy!! Nel southern rock, qui sporcato da evidenti tracce di hard, come dimostra il riff solido di “Rockompany”, non servono malizie e segreti, ma sono necessari attitudine e gusto nella scrittura. In questo senso il quartetto è una garanzia, “Hard Bones”, “Empty Heads”, “West End Highway”, sprigionano tutto ciò che serve, con il coinvolgimento di cori, anche femminili, e di una strumentazione attenta ai dettagli, visto l’utilizzo di armonica, banjo e mandolino. Il gruppo è credibile anche quando imbraccia strumenti acustici, infatti “Scars Remains” è una ballata che ha il sapore di quelle praterie e delle cavalcate (...)

A cura di Alfredo Cristallo su Micsugliando.it: (...)La musica degli Steel Bones si dipana seguendo il solco del più classico southern rock: quindi una forte componente di musica radizionale (generalmente blues e country) che una miccia rock’n’roll fa esplodere in uno stile denso e selvaggio (...) i loro brani spesso voltano le spalle al più composito blues rock che viene generalmente nascosta dall’impeto delle chitarre, contaminandolo con scariche di hard rock, ovvero esaltando a dismisura le componenti di grinta, vitalità e sadismo sonoro (...) è una carrellata di hard rock spesso dal sapore epigonico: si va dall’hard rock grintoso di "Empty Heads" alla Black Crowes, all’hard-boogie alla Humble Pie di "West End Highway", alla progressione epica di "Better", fino al più scoperto classicismo southern di "Good To Be Alive" (sommerso dai clangori di chitarra) e di "Rockcompany" (...)